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First Special Service Force UN LEGAME FORTE TRA PASSATO E FUTURO
Dal 27 maggio al 5 giugno un gruppo di 35 canadesi e statunitensi visiteranno le zone di confine tra Campania e Lazio. La notte del 3 dicembre 1943 i loro padri, nonni o zii compirono un miracolo di strategia militare aprendo il passaggio alla stretta di Mignano Monte Lungo (CE), sbloccando una situazione di stallo durata un mese. La First Special Service Force (FSSF), un’unità combattente di duemila volontari, attaccò il muro di roccia costituito da Monte La Defensa, elevazione 960 metri, tra la mezzanotte e le ore quattro del mattino, sorprese le difese germaniche scalando la parete verticale della sommità considerata insormontabile. L’azione fu la prima di tante considerate missioni suicidio per le truppe convenzionali, ma non per la FSSF che era stata scelta ed addestrata per dieci mesi nel Montana, lontano da occhi indiscreti; preparata ad ogni tipo di azione, paracadutisti, incursori dal mare, specialisti con gli esplosivi, con le armi nemiche e col pugnale, finì per guadagnarsi il rispetto del nemico soprattutto sul perimetro della testa di ponte di Anzio dove ricevette l’appellativo di Brigata del Diavolo o Diavoli Neri. Dopo una settimana di combattimento, spesso corpo a corpo, liberata “La Defensa”, la “Force” passò sull’altro lato della gola di Mignano e dopo quarantacinque giorni le difese tedesche erano state eliminate ad un prezzo molto alto: mille e quattrocento morti o feriti.
Venne poi il trasferimento ad Anzio dove da sola la FSSF teneva tredici chilometri di fronte e le forze nemiche di esperienza e valore, come la Herman Goering, arretrarono di tre chilometri a seguito delle incursioni notturne all’arma bianca della “Brigata”. Dopo novantanove giorni in prima linea sul Canale Moscardello (detto Canale Mussolini), i Forcemen furono la punta delle truppe alleate, che passando per Cori, Roccamassima, Artena e Colleferro, alle ore sei e venti del 4 giugno 1944, presero Roma entrando a Porta Maggiore, occupando la Stazione Termini ed evitando che i tedeschi facessero saltare i ponti sul Tevere. La sceneggiata del Generale Clark avvenne in tarda mattinata.
Ma il gruppo partecipante al FSSF Tour 2011, composto da figli e nipoti dei protagonisti del ’43, da nove militari in servizio attivo nelle Forze Speciali canadesi e dal veterano William “Sam” Magee, torna soprattutto per il legame indissolubile che la “Forza” e la sua associazione ha con il nostro territorio e con la nostra gente. Monte La Defensa, luogo del battesimo del fuoco, Monte Sammucro e Monte Majo sono per loro luoghi sacri. Il Tour 2011 si prefigge di ripercorrere ogni passo della “Forza” da Santa Maria Capua Vetere a Roma con incontri ufficiali con le istituzioni e con la gente comune, quella vera e generosa di cui i Forcemen spesso parlano nelle loro memorie. Il gruppo salirà su Monte La Defensa nella mattinata di domenica 29 maggio e poi sosterà nel Castello di Rocca d’Evandro per una breve pausa pranzo. Il Tour è stato organizzato e viene coordinato dal Prof. Gianni Blasi, cittadino italo-canadese, storico della FSSF e membro onorario della FSSF Association. Collabora alle diverse iniziative del Tour il Winterline Museum di Venafro, una struttura di ricercatori volontari che con le sole proprie forze sta diventando un punto di riferimento sul territorio.
Alla richiesta di quali fossero le motivazioni di un impegno sul secondo conflitto mondiale diviso tra il Nord-America ed il nostro territorio, Blasi ci ha risposto così: “Circa 250000 morti in sei mesi e decine di paesi letteralmente cancellati sono una perdita troppo grande da dimenticare; il calvario del nostro territorio, della nostra gente e delle giovani vite provenienti da 36 paesi, e non da 13 come viene comunemente affermato, devono farci capire che non possiamo ripercorrere le note sciagurate derive ideologiche e dobbiamo essere vigili a non imboccare un piano inclinato che lentamente ci riporti indietro. Dal disastro di quella dannata guerra deve venire l’insegnamento per le prospettive future, prima che, come per la Shoa, qualcuno ci dica che ‘il tutto non è stato niente’.”
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