ROCCA D’EVANDRO – La fermata ferroviaria ricade nel territorio laziale ma è stata assegnata al casertano Stazione, una storia dissotterrata Pendolari disagiati, via crucis per trovare i biglietti. Problemi causati da una scelta del 1890
Ogni fatto, se indagato, svela ragioni storiche e politiche che ne spiegano l’antefatto. La stazione di Rocca d’Evandro, al centro di forti disagi per i pendolari, cela dietro alle sue spalle una vicenda che ci lascia piombare a fine Ottocento e che, seguendo i passi del tempo, riporta a galla la verità: la sua appartenenza al Comune di San Vittore. Lo sanno i più esperti: esiste infatti un progetto chiuso in un cassetto del Comune di San Vittore che potrebbe risolvere, in un sol colpo, la vicenda della stazione di Rocca d’Evandro. Ed esiste una storia, che risale al lontano passato che finalmente svela perché la fermata ricade nel Comune nella provincia di Caserta e non, come dimostrano le visure catastali, in quello di San Vittore. Se finora è stata la mente storica di alcuni abitanti del territorio a permettere la ricostruzione di una vicenda che ancora oggi crea problemi inspiegabili, ora invece ci troviamo di fronte ad una documentazione più chiara che è capace di portare a galla tanti arcani. La fermata ferroviaria reca sul tabellone della stazione la scritta “Rocca d’Evandro”. Un pendolare che vuole raggiungere Roma deve dirigersi a Mignano Monte Lungo (provincia di Caserta) per il biglietto interregionale capace di coprire la tratta fino a Cassino e solo una volta raggiunta questa città può acquistare il birg per Roma. Un disagio che peggiora proprio di fronte alla mancanza di biglietteria a Rocca d’Evandro. Il problema potrebbe scomparire se la fermata recasse il nome del Comune in cui ricade, e cioè San Vittore del Lazio. Dove è nascosto l’errore? Dobbiamo fare un tuffo nel passato e raggiungere la fine dell’Ottocento. Il primo tratto ferroviario italiano, la Napoli-Portici (da Napoli a Granatello di Portici, km 7,640) era già stato inaugurato nel 1839 dal re Ferdinando II di Borbone. Gli Stati, poco dopo quella data, si erano organizzati singolarmente e alla costituzione del Regno d’Italia, nel 1861, lo sviluppo complessivo della rete ferroviaria era pari a 2370 km. Nel 1884 veniva approvata una commissione parlamentare d’inchiesta che si pronunciava a favore dell’esercizio privato per il trasporto su rotaie. Nel 1885 venivano stipulate, cioè, delle Convenzioni - per la durata di 60 anni - tra Stato e Società private
per la costruzione delle reti ferroviarie al nord come al sud. Ma solo nel 1905 entra definitivamente in scena lo Stato con il riscatto delle Reti dalle predette Società e una gestione diretta di 10.557 Km di ferrovia. Che cosa succede nel frattempo? Nel 1890 è pronta la Caserta-Cassino. La trattativa per l’esproprio e il pagamento dei terreni avviene tra privati (singoli cittadini) e privato (Società di costruzioni). Quando il serpentone di ferro tocca la cittadina di San Vittore, le terre sulla quale dovevano spuntare i binari appartenevano ai marchesi Cedronio. Sono loro a concedere gratuitamente i terreni a patto che la stazione venisse intitolata a Rocca d’Evandro. I problemi però ancora dovevano nascere e sarebbero maturati con l’acquisizione delle Ferrovie da parte dello Stato e l’arrivo delle Province. All’inizio degli anni Cinquanta, è stato il sindaco di San Vittore, Mario Musto - secondo una ricostruzione basata sui ricordi dei protagonisti delle prime battaglie - ad essersi interessato per primo al cambio di nome per la stazione ferroviaria. A Napoli, chiusi in qualche archivio ancora esistono i documenti che attestano la richiesta di una penalità di circa due miliardi di lire per quel cambio di “tabellone”. Una cifra astronomica per quei tempi, e forse troppo pesante per le casse comunali ancora oggi. Così, qualche decennio dopo il sindaco Pirollo aveva predisposto un progetto grazie al quale per il cambio del nome bastava spostare l’accesso ai pendolari dalla parte opposta. Una soluzione ancora sarebbe percorribile e capace di favorire l’accesso ai residenti che vedrebbero ridotto il tragitto che compiono (1,4 km) per raggiungere la fermata. Con il passaggio all’alta velocità infatti è stata chiusa una strada giudicata fondamentale per raggiungere i binari, causando al contrario un percorso più contorto. Con le due diverse gestioni, anche i problemi sono raddoppiati. Sin dalle prime battute di questa nostra inchiesta gli abitanti dei due Comuni ci hanno segnalato tutto il loro interesse al ripristino della verità storica e territoriale, una battaglia che - finalmente - renderebbe a Cesare quel che è di Cesare. Katia Valente
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