Area archeologica PORTO DI MOLA

Il quartiere artigianale di Porto di Mola

Marianna Norcia

Percorrendo la S.P. 328 (ex S.S. 430), al confine tra Lazio e Campania, nel territorio del Comune di Rocca d’Evandro, a circa 8 km a sud del centro abitato, nella frazione di S. Maria di Mortola, nel punto dove il fiume Garigliano si insinua tra il fianco dei Monti Aurunci e le pendici del Roccamonfina, nel 1992 è stato rinvenuto, casualmente, un sito archeologico di età romana di grande importanza. Il sito ha una estensione di circa 3 ha, ed è costituito da un ampio terrazzo di origine alluvionale, delimitato ad ovest da un'ansa del fiume Garigliano, ad est dalla S.P. 328 (ex S.S. 430), a nord dal Fosso "Porto di Mola", ed a sud dal Fosso Camporocchio (Fig. 1).

 

Il sito è stato oggetto di campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, nei  mesi di giugno - luglio 1992 e marzo 1993. Le campagne di scavo hanno riportato alla luce alcuni importanti resti di strutture, viarie e murarie, di origine romana, risalenti ad un periodo compreso tra il II sec a.C. ed il I sec. d.C., testimonianza dell'esistenza di un quartiere artigianale per la produzione, prevalentemente, di anfore vinarie, che erano destinate all'esportazione per essere commercializzate in tutta l’area mediterranea.

 

Sono stati rinvenuti anche due tratti di strade romane. Un tratto di strada, al margine sud-est dell’area, era costituito da basoli di lava trachitica scura (leucite), allineati nord-est/sud-ovest; un altro tratto di strada, invece era costituito da basoli di calcare bianco locale, perpendicolare al primo e degradante in direzione del fiume, indice dell’esistenza di un approdo connesso alle esigenze di un quartiere artigianale, utilizzato per l'imbarco dei prodotti verso il porto di Minturnae. La strada principale, cioè quella di basoli di lava trinchitica scura, parallela al corso del fiume, era probabilmente un diverticolo che, costeggiando la riva sinistra del fiume, collegava la via Appia con la via Latina che proveniva da Interamna e Casinum.

 

Lo scavo ha interessato tre aree:

 

- area A: delimitata su tre lati da strutture murarie; tra i materiali rinvenuti vi è una alta percentuale di anfore e frammenti di ceramica d’uso comune. Tale area, nella parte settentrionale era caratterizzata dalla presenza di macchie di terreno arrossato di forma rettangolare, da riferire, probabilmente, a 4 fornaci per la produzione ceramica. Sotto gli strati di terreno arrossato sono state rinvenute una serie di strutture murarie in opera incerta e alcuni strati formati da frammenti di anfore. Sono state individuate una canaletta che portava l’acqua in direzione del fiume e, a nord di questa, una fossa di forma pressappoco rettangolare riempita con sabbia. Tali evidenze sono interpretabili come strutture di servizio di un quartiere artigianale.

 

- area B: in tale area è stato rinvenuto scarso materiale archeologico; probabilmente l’area fungeva da zona di rispetto tra il quartiere artigianale e l’area C.

 

- area C: sono state rinvenute strutture murarie di alcuni ambienti allineati ad ovest della strada in basoli di lava trachitica scura.

 

A ridosso di un muro sono stati rinvenuti frammenti di colonne di arenaria locale (Fig. 3). Verso il fiume era l’incrocio tra la strada in calcare bianco e una terza strada sempre in lava scura, perpendicolare ad essa. Questa terza strada è conservata solo per un piccolo tratto e la gran parte dei suoi basoli è stata danneggiata dai lavori agricoli. Lungo il marciapiede nord della strada in calcare bianco erano allineati una serie di ambienti identificabili come tabernae; uno degli ambienti era porticato sul lato ovest.

 

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5

 

Alcuni pilastri, addossati lungo il muro parallelo alla strada, potrebbero costituire i sostegni di scale d’accesso ad un piano superiore, come lascia presupporre lo spessore del muro stesso. La tecnica costruttiva generalmente usata per le strutture rinvenute è l’opera incerta con caementa di calcare locale e fondazioni di tipo a sacco. La posizione geografica privilegiata del sito rendeva disponibili in loco le materie prime necessarie alla lavorazione ceramica: acqua, argilla, degrassanti e combustibile.

 

Sulla base dei materiali rinvenuti: anfore, rari frammenti di ceramica fine (ceramica a vernice nera campana e ceramica a vernice rossa interna), qualche frammento di ceramica a pareti sottili, buon numero di terra sigillata italica e terra sigillata africana di produzione A, l’arco cronologico in cui collocare la fioritura del sito si restringe tra il I sec. a.C. e il I sec. d. C. Scarsi frammenti di sigillata africana chiara D indicano solo una frequentazione del sito in epoca tardo imperiale; non sono stati rinvenuti indizi di frequentazioni successive. Due frammenti,simili a contenitori per la pece, attestano un’ulteriore attività sviluppata nella zona: la produzione di pece, che rivestiva una certa importanza anche per Minturnae, dove sono documentati dei socii picarii.

 

Altra attività di notevole importanza è stata lo sfruttamento dei boschi, sia in rapporto all'attività agricola, che allo sviluppo delle aree urbane; l'approvvigionamento di legname è, inoltre, indispensabile all'attività delle fornaci. Nel grosso strato di riempimento della camera di combustione della fornace scavata nell’area A sono stati rinvenuti moltissimi frammenti di anfore e tegole tra cui diversi recavano bolli (4 tegole e 20 anfore) tra i quali 4 in cartiglio rettangolare e 10 in cartiglio circolare, relativi a servi della gens Lucceia. I Luccei sono documentati in Campania, nei Campi Flegrei, a Puteoli e a Cuma e nel Lazio a Interamna Lirenas. Tale gens aveva notevole importanza in campo commerciale e anche se non è stato possibile stabilire un legame tra i Luccei attestati a Porto di Mola e i Luccei flegrei, questo sito, nel quale venivano prodotte anfore, era gestito da una sola gens, i Luccei.

 

Nell’età tardo-repubblica era diffusa la coincidenza tra il luogo di fabbricazione delle anfore vinarie e il luogo del loro imbarco, schema legato al sistema di produzione schiavistico. La vicinanza del sito al fiume e alla rete stradale facilitava il commercio via terrestre e via fluviale; in particolare il commercio del vino che, giungendo all’interno della regione, doveva essere qui travasato nelle anfore fabbricate in questo stesso quartiere artigianale, ed infine imbarcato in direzione della costa ed in particolare del porto di Minturnae.

Nel sottolineare l’importanza di tale sito e l’urgenza di interventi volti alla valorizzazione e alla corretta conservazione dei rinvenimenti si precisa che attualmente sono stati scavati pochissimi altri siti di questo tipo dei quali nessuno è in Campania.

 


 

Bibliografia essenziale

 

Chiosi 1994 = E. Chiosi, 1994, Rocca d'Evandro (Caserta) – Località Porto. Un quartiere produttivo romano sulla riva sinistra del fiume – Lo scavo, "Bollettino d'Archeologia"

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Costabile 1992 = F. Costabile (a cura di). Polis ed Olympieion a Locri Epizefiri. Costituzione economia e finanze di una città della Magna Grecia. Editio altera e traduzione delle tabelle locresi, Catanzaro 1992.

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De Caro 1985 = S. De Caro, Anfore per pece del Bruzio, "Klearchos",1985, XXVII, pp. 21-32.

Gasperetti 1994 = G. Gasperetti, Rocca d'Evandro (Caserta) – Località Porto. Un quartiere produttivo romano sulla riva sinistra del fiume – Viabilità ed organizzazione della produzione,“Boll. d'Arch.”, 1994,11-12, pp. 124-125.

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Luppino – Sangineto 1992 = S. Luppino, A.B. Sangineto, 1992, Appendice. Il deposito di anfore di Trebisacce ed un recipiente per la pix Bruttia, in Costabile 1992, pp. 174-191.

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