Don Angelo Pantoni

  Biografia e note personali
Rocca d'Evandro
   I - I primi secoli
  II - Il Cinquecento
  III - Il Seicento

  IV - Il Settecento e il 

    rifacimento della chiesa

  V - L'Ottocento e il Novecento
  VI - Vicende del clero
  VII - Stato attuale delle chiese

  VIII - Il Comune e la

    popolazione

Cocuruzzo
  I - Dalle origini al tardo  

   Seicento

  II - Dal Settecento ai nostri

    giorni

Mortola
 Mortola 
Camino

 Camino e la Chiesa della SS.

    Trinità sul Monte Maggiore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Don Angelo Pantoni

  Biografia e note personali
Rocca d'Evandro
   I - I primi secoli
  II - Il Cinquecento
  III - Il Seicento

  IV - Il Settecento e il 

    rifacimento della chiesa

  V - L'Ottocento e il Novecento
  VI - Vicende del clero
  VII - Stato attuale delle chiese

  VIII - Il Comune e la

    popolazione

Cocuruzzo
  I - Dalle origini al tardo  

   Seicento

  II - Dal Settecento ai nostri

    giorni

Mortola
 Mortola 
Camino

 Camino e la Chiesa della SS.

    Trinità sul Monte Maggiore

 

 Rocca d'Evandro            

I - I primi secoli

 

Nel dare avvio a una raccolta di notizie su questa località della Diocesi, si deve notare anzitutto che quanto verrà esposto concerne essenzialmente il nucleo storico raccolto ai piedi della rocca, e non le attuali frazioni di Cocuruzzo, Mortola e Camino, che ebbero nei secoli scorsi vita propria, con documentazione distinta da quella di Rocca di Vandra, o d'Evandro, come si chiama attualmente, con una alterazione già in uso nel tardo Cinquecento, forse dovuta a un abbellimento di tipo umanistico. Questa forte posizione montana, a guardia con altre dell'accesso a Napoli, deve anzitutto essere distinta nettamente dall'altra omonima, situata presso il Gari, di fronte a S. Ambrogio, e rimasta disabitata a partire dal secolo XVI. Le relative documentazioni sono bene distinte, ma gli equivoci sono pure facili, data la fondamentale omonimia, poiché anche per il centro in pianura si trattava di un castello il «castrum Bantrae». Nella conferma dell'anno 1057 dei possessi di Montecassino, fatta dal pontefice Vittore II, sono comprese ambedue le Vandre: Bandra Comitalis (che è la nostra) e Bandra Monacisca, quella in piano, separata dalla precedente anche dal fiume. Pure sulle lamine bronzee della porta principale della basilica di Montecassino, è fatta menzione delle due località; precisamente nel battente di sinistra con le lamine più antiche (sec. XI-XII). Si legge infatti nella terza lamina dall'alto, della prima fila di sinistra: CUCURUZZU CAMINUS S. IOANNES DE CURRENTI / CASPULI ROCCA DE VANDRA, VANDRA. In tale elenco sono espressamente menzionate le località di pieno dominio della badia, sia religioso che civile, ma per Rocca di Vandra il possesso non fu troppo pacifico, data la sua forte posizione militare, e l'intrecciarsi dei diritti di possesso dei feudatari della regione. Così nel 1091 Pandolfo conte di Teano, ma con sede a Presenzano, cedette a Montecassino la sua parte di Rocca di Vandra, Mortola e Cocuruzzo, ricevendo in compenso dall'abate Oderisio 96 libbre d'oro, quindi un indennizzo abbastanza consistente, e nel 1097 Landenolfo conte di Presenzano donava pure la sua parte dei medesimi castelli. Inoltre nel 1101 il medesimo Landenolfo cedeva la Rocca di Camino, soprastante quella di Vandra, con tutte le sue pertinenze. Queste cessioni, come avverte il Fabiani nel suo oramai classico lavoro sulla Terra di S. Benedetto, per lo più intendevano sanare una situazione di fatto, in quanto le località in questione erano state tolte ai signori Longobardi dai sopravvenuti Normanni, e quindi a Montecassino si mirava ad evitare rivendicazioni da parte degli eredi che conservavano, almeno in linea di principio, dei diritti sui possessi d'un tempo. Nel 1107 Riccardo dell'Aquila, duca di Gaeta, conte di Sessa, Pico e Suio, giurava fedeltà all'abate Ottone e s'impegnava a difendere la terra di S. Benedetto, della quale nel documento relativo, vengono nominate le località principali, e tra esse Rocca di Vandra e Rocca Monacesca. Ma ancora nel 1116 vi furono cessioni a favore di Montecassino, da parte di Laidolfo figlio di Pandolfo conte di Teano, concernenti Mortola, Rocca di Camino e Rocca di Vandra, e come avverte il Fraja-Frangipane, il pieno possesso della località fu realizzato solo nel 1122. Nell'amplissimo diploma di conferma di tutti i beni di Montecassino, elargito nel 1137 dall'imperatore Lotario III, diploma che fu preparato, con la massima estensione dei diritti della badia, dall'archivista Pietro Diacono, sono pure comprese le due Vandre, in un insieme che comprendeva 47 castelli e 560 chiese e monasteri. Ruggero II divenuto re di Sicilia, con riconoscimento e investitura da parte del Papa, nel 1140 saliva a Montecassino, cui concedeva con atto apposito Rocca di Vandra, privando tuttavia il monastero di Pontecorvo, Piedimonte, Cardito e Camino. Il possesso della Rocca non era quindi propriamente pacifico; i vari regnanti lo confermavano, o magari lo toglievano, come si vedrà più oltre. In ogni modo è bene notare col Fabiani che l'anno 1140, con l'avvento della monarchia normanna, segna la fine dell'indipendenza politica di Montecassino e della sua espansione territoriale, in quanto Ruggero II fece espresso divieto ai feudatari del Regno, di alienare o donare i loro beni. Estintasi la dinastia normanna nel 1190, ripresero le lotte per la successione. Tancredi conte di Lecce, figlio naturale di Ruggero di Puglia, fu incoronato re, con l'approvazione del papa Clemente III. Il nuovo re chiese ai baroni di Terra di Lavoro il debito giuramento di fedeltà; quindi anche l'abate e cardinale Roffredo dell'Isola giurò, e ne fu gratificato con la cessione della Rocca di Vandra, che pure nel 1140 era stata assegnata a Montecassino. Tuttavia questa volta venne unita anche l'altra forte posizione di Rocca Guglielma (Esperia), sul lato opposto del dominio cassinese. Seguirono anni di conflitti, che devastarono ampiamente la regione, tra i partigiani del re Tancredi e quelli dell'imperatore Enrico IV, che aveva in moglie Costanza figlia di Ruggero II, che il defunto Guglielmo II, privo di discendenza, aveva designata a succedergli. L'abate e cardinale Roffredo si pose a fianco di Enrico VI nella spedizione imperiale del 1194, che si concluse vittoriosamente in Sicilia. Sotto il breve governo di Pietro III (1210-1211), succeduto a Roffredo, gli abitanti di Rocca di Vandra assunsero il compito di protagonisti, e non più di oggetto di decisioni dall'alto, ribellandosi alla badia, facendo prigioniero il rettore cassinese, e chiedendo al nuovo re Federico II un altro signore. Fu mandato per l'occasione Giovanni Russo di Gaeta. L'abate Atenolfo, succeduto a Pietro, cercò di riprendere con le armi la rocca, ma non vi riuscì, e solo indennizzando il Russo con una cospicua somma, e dandogli in moglie una nipote, potè ricuperare l'importante posizione. Il belligero abate non avendo ottemperato al precetto papale di smantellare le rocche del suo dominio, fu fatto prigioniero. Nel frattempo il nipote Miraddo, che dimorava a S. Germano, andò a chiudersi in Rocca di Vandra, ov'era rettore un suo cugino, e di là danneggiava le terre della badia. Ottenuta con queste rappresaglie la liberazione dello zio, che fu mandato a reggere S. Benedetto di Capua e S. Angelo in Formis, cedette spontaneamente la rocca al nuovo abate Stefano de' Marsi (1215-1227), scelto da Innocenzo III tra otto nomi di candidati a lui sottoposti. Ma le vicende della Rocca continuarono. Così quando nel 1220 Federico II venne incoronato a Roma imperatore di Germania, l'abate Stefano fu pure presente, e sentì chiedersi per l'occasione, la restituzione di Rocca di Vandra e Atina. All'abate non restò che ottemperare all'imperiale precetto. Nelle successive lotte dell'imperatore con la Chiesa, sanate momentaneamente dalla pace di S. Germano (Cassino) del 1230, l'abbazia perse pure il dominio su Rocca Janola, passata al Demanium Regis, malgrado l'impegno espresso dal sovrano, nella circostanza, di restituire i beni ecclesiastici usurpati. Nella ripresa delle ostilità del 1239 i monaci furono pure allontanati da Montecassino, salvo otto per l'ufficiatura, e la badia fu convertita in fortezza per circa ventisei anni. Tutta la regione venne messa in assetto di guerra che, tra varie vicende, si concluse per quanto concerne Monteccasino, nell'anno 1266 con l'espugnazione di S. Germano, da parte delle forze angioine. A quel tempo era abate il francese Bernardo I Ayglerio, già abate di Lerino, nominato da Urbano IV nel 1263, ma con governo effettivo dal 1266. Egli accolte festosamente nella badia Carlo d'Angiò, suo parente, e si pose all'opera per restaurare gli edifici e la disciplina interna del monastero, riorganizzando pure lo sconvolto dominio territoriale. Dell'opera dell'abate Bernardo (1263-1282), per ristabilire i diritti della badia nei vari centri che ne dipendevano, si è avuto occasione di trattare ripetutamente, ma per quanto concerne Rocca di Vandra la documentazione sopravvissuta è alquanto incompleta. Anzitutto si nota nei Regesti del medesimo abate, pubblicati nello scorso secolo, un'assenza quasi totale di atti concernenti la nostra località, che figura solo in due occasioni piuttosto marginali, mentre non si trova la convocazione dei rappresentanti del luogo, sia per l'Inquisizione o inchiesta sui diritti della badia, sia per ascoltare la relativa sentenza a S. Germano, con atto pubblico e vincolante giuridicamente. Si può aggiungere che nel Registrum II Bernardi, datato 1273, ma trascritto nel secolo XV si fa menzione espressa di una Inquisizione « super luribus redditibusque et fructibus debitis ab ipsa Universitate (Rocce Bantre) », con l'elenco delle varie prestazioni e obblighi, sul tipo degli altri congeneri, già più volte ricordati per altre località. Nel registro ora citato sono riportate le sole conclusioni dell'Inquisizione, e questo si spiega perché è quanto interessava conoscere e avere a portata di mano. Si può supporre quindi che la sentenza per la nostra località sia stata resa effettiva, anche se non sono reperibili gli atti relativi. Del resto nell'edizione a stampa già ricordata, il sottotitolo avverte: «Fragmenta quae supersunt», facendo capire che vi è più di una lacuna, nella pure accurata e preziosa pubblicazione fattane. E' significativo, tuttavia, che alla fine del citato Regesto II, quello trascritto nel sec. XV, si trova un elenco delle prestazioni dovute, evidentemente all'epoca del trascrittore, e in esso si legge: «Universitas Roche bandre tenetur pro sacra et dono Novo Prelato Casin. in unc. una et tarenos decem. Archipresbyter dicte Roche tenetur per sacra et dono novo prelato Casin. in uncia una». Si può supporre che questa nota concerna la situazione successivamente configuratasi con la sopravvivenza della sola giurisdizione spirituale. Troviamo infatti che nel 1326 comincia il periodo degli abati vescovi venuti di fuori, spesso neppure residenti, che si conclude nel 1366. Di più nel 1349 vi fu il celebre terremoto, che segna un'epoca della storia della badia, senza contare le frequenti guerre nella regione, compresi pure i saccheggi del monastero. In tutto questo turbinare di poco liete vicende, il dominio cassinese fu variamente manomesso, e Rocca di Vandra ne offre un esempio. I registri dei collettori delle decime di questo tempo, ci offrono all'anno 1325, i nomi delle chiese della Rocca soggette a tale tributo. Oltre la chiesa arcipretale della quale è taciuto il nome, nominano le chiese di S. Margherita e di S. Croce. La prima delle due sarà più volte menzionata anche in seguito, e vale la pena di notare che all'epoca ora indicata ne era beneficiario un sacerdote di S. Germano. Nella fase di ripresa della badia, dopo il ristabilimento degli abati regolari, voluto da Urbano V, nel regesto di Andrea da Faenza (1369-1373), si parla solo di giurisdizione spirituale, con gli obblighi più sopra registrati. Obblighi analoghi si trovano nel Registro II del romano Pietro de Tartaris (1374-1395), succeduto ad Andrea da Faenza. Così leggiamo: «A Capitulo Rocce Bantre. Dictum capitulum tenetur dare camerae casinensi anno quolibet pro prandio seu visitatione tarenos XXI». La medesima tassa è menzionata nel Registro II dell'Abate Errico Tomacelli ( 1396-1413) confermando la nuova situazione. Anche nel poco felice cinquantennio della commenda, cominciato nel 1454, col cardinale Ludovico Scrampo, troviamo all'anno 1459: «La Rocha de Vandra cioè larciprete cum lo capitolo de pagare duc. quattro tar. uno », vale a dire la stessa somma, in quanto il ducato comprendeva cinque tarì. La fine del regime della commenda, e l'avvento della Congregazione Cassinese (a. 1504), non mutano più i termini di questi obblighi, circoscritti alla sola giurisdizione spirituale, ma con i nuovi dirigenti, più animati da spirito pastorale, il controllo delle chiese dipendenti e del relativo clero diviene frequente ed effettivo, abbastanza prima dei decreti del Concilio di Trento, come si è già visto per le località contermini, e come lo si vedrà nei capitoli successivi per il tema preso in esame.

 

A. Pantoni, Roccadevandro, I, «Bollettino Diocesano» di Montecassino, Anno XXXIV, 1/1979, pp 69-75.

 

 

 

 

 

 

 

   


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