Don Angelo Pantoni

  Biografia e note personali
Rocca d'Evandro
   I - I primi secoli
  II - Il Cinquecento
  III - Il Seicento

  IV - Il Settecento e il 

     rifacimento della chiesa

  V - L'Ottocento e il Novecento
  VI - Vicende del clero
  VII - Stato attuale delle chiese

  VIII - Il Comune e la

    popolazione

Cocuruzzo
  I - Dalle origini al tardo  

   Seicento

  II - Dal Settecento ai nostri

    giorni

Mortola
 Mortola 
Camino

 Camino e la Chiesa della SS.

    Trinità sul Monte Maggiore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Don Angelo Pantoni

  Biografia e note personali
Rocca d'Evandro
   I - I primi secoli
  II - Il Cinquecento
  III - Il Seicento

  IV - Il Settecento e il

    rifacimento della chiesa

  V - L'Ottocento e il Novecento
  VI - Vicende del clero
  VII - Stato attuale delle chiese

  VIII - Il Comune e la

    popolazione

Cocuruzzo
  I - Dalle origini al tardo  

   Seicento

  II - Dal Settecento ai nostri

    giorni

Mortola
 Mortola 
Camino

 Camino e la Chiesa della SS.

    Trinità sul Monte Maggiore

 

 Rocca d'Evandro            

III - Il Seicento

 

Proprio ai primi anni di questo secolo, nel 1617, troviamo una petizione dei Sindaci della Rocca all' Abate Cassinese, nella quale a causa di «molte miserie et calamità, et povertà per la sterilità (e) infertilità dei terreni», temendo di essere incorsi in qualche scomunica, pregavano di ottenere «da S. Santità un breve di assoluzione benedizione e indulgenza plenaria». Il Priore di M. Cassino, d. Bernardino da Trani, rispose che l'arciprete esortasse tutti a confessarsi e comunicarsi, e a tenersi preparati per la terza festa di Pasqua (si suppone il martedì dell'ottava), quando sarebbe venuto il Vicario per la «benedizione universale». La richiesta sopra riferita, a parte le possibili cause della lamentata sterilità, mostra lo spirito di fede degli abitanti, che viene del resto lodato anche in sede di visita canonica. Degno pure di nota il fatto che nella visita del 1622, viene detto esplicitamente che la chiesa principale di S. Maria Maggiore era pure dedicata a S. Antonino Martire. Su questo Santo si è avuto occasione di trattare a proposito di Viticuso, e quindi per maggiori notizie si rimanda, al relativo articolo. La dedica a S. Antonino risulta espressa chiaramente nella visita del 1673, nei decreti «prò eadem Ecclesia Matrici sub titulo S. Mariae Maioris et S. Antonini». Inoltre dall'inventario generale, fatto a fine secolo, del quale si tratterà qui appresso, veniamo a sapere che la festa di S. Antonino, quale primo patrono della Rocca, era celebrata con particolare solennità, e che in detto giorno, nella piazza della chiesa, venivano eletti i Sindaci e gli altri ufficiali dell'Università, «e ciò per antica costumanza e tradizione». L'inventario delle chiese, beneficii e luoghi pii dell'anno 1696, chiesto da d. Erasmo Gattola, Vicario Generale della Diocesi, con decreto del 29 novembre 1695, che si rifaceva a quanto già aveva prescritto Sisto V nel 1587, fu veramente provvidenziale per tramandarci un quadro sufficientemente com­pleto della situazione nelle varie località diocesane. Per quanto concerne Rocca d’Evandro l'inventario ebbe inizio il 13 giugno 1696, presente l'arciprete d. Antonio Camposelli, il procuratore del Capitolo, i sacerdoti prebendati (erano diciotto), i tre Sindaci e il dottor fisico, cioè il medico del luogo, oltre il notaio per la redazione in forma legale e autentica, di quanto sarebbe emerso dalle varie esposizioni, ed elenchi, consegnati nella già citata serie degli «Inventaria Ecclesiarum». La chiesa di S. Maria Maggiore e S. Antonino Martire, viene precisato essere situata in mezzo al paese «nel luogo detto la piazza, circondata e confinata dalla piazza e strade pubbliche». Le origini risultavano imprecisate, in ogni caso da supporsi assai antiche, e il suo mantenimento e riparazioni spettavano all'Università, o Comune nei termini odierni. L'edificio descritto non è l'attuale, costruito intorno alla metà del Settecento, e dalle misure offerte si deduce che era piuttosto piccolo. Misurava infatti in lunghezza palmi napoletani 92 (m. 24,30), in larghezza palmi 44 (m. 11,50, in altezza palmi 41 (m. 10,80), un palmo essendo m. 0,264. La copertura era a soffitto, definito come ben fatto, e i tetti avevano avuto riparazioni di recente a cura dell'Università, si può aggiungere in seguito a pressanti decreti di visite diocesane, come risulta dai relativi registri. La chiesa aveva un atrio con finestre, nel quale era l'unica porta «fatta commodamente grande et alta di pietra lavorata viva, ben fatta in pochi pezzi» (f. 128 r), ed è ancora la porta attuale di corrette linee tardocinquecentesche, compresa la porta lignea, pure menzionata nell'inventario, con scolpiti a rilievo gli stemmi del luogo e della Badia. Malgrado le non grandi dimensioni l'edificio era a tre navate, ciò porta la conseguenza che la navata principale doveva essere ampia poco più di cinque metri. In essa campeggiava sul fondo l'altare maggiore «con l'Icona grande, con pittura magnifica e stimata, opera di Zincare pittore illustre» (f. 128 r). Lo Zingaro, un pittore veneto il cui nome è Antonio Solario, e del quale si hanno notizie tra il 1495 e il 1511, è noto particolarmente per le pitture con episodi della vita di S. Benedetto, eseguite nel 1503 a Napoli, nel chiostro del monastero benedettino cassinese dei SS. Severino e Sossio, pitture ancora visibili, sebbene in stato di pro­gressivo degradamento. Lo Zingaro, come ricorda il cronista cassinese Placido Petrucci, nella sua descrizione di Montecassino del 1580, aveva pure fatto alcune pitture, a carattere storico, nella porta superiore di M. Cassino, dov'è tuttora la cappella della Madonna, e la data di questo lavoro è fissata a quella del governo dell'abate Vincenzo de Riso (1516-17) che lo promosse. Dette pitture erano ancora visibili verso la fine del Seicento, e purtroppo non ne rimane traccia. Ma questa presenza del pittore a Montecassino, può spiegare anche il lavoro eseguito a Rocca d’Evandro, a sua volta totalmente perduto. Riprendendo la descrizione dell'inventario, si può aggiungere che nella grande ancona, dell'altare maggiore, in alto era raffigurata l'Assunzione di Maria, e nella zona centrale la Madonna seduta col Bambino e vari Santi, tra i quali S. Benedetto, S. Antonino Martire, i SS. Filippo e Giacomo, in quanto nel giorno ad essi dedicato a quel tempo, il 1° maggio, la chiesa era stata dedicata, nonché altri santi personaggi. Da notarsi ancora, come sopravvivenza dell'originario assetto medioevale, che sopra la balaustrata dell'altare maggiore ,si notava un architrave ligneo, «e sopra di esso vi era il Crocefisso grande», mentre nell'architrave, estremo ricordo della «pergula», si leggeva: «si dolor est attendile». A destra dell'altare, in una nicchia, si conservavano diverse reliquie, compresa una della S. Croce, oltre una caraffina col sangue di S. Margherita Vergine e Martire, anch'essa protettrice del luogo. Dal lato di destra, in capo alla navatella, si trovava l'altare del Rosario, con un quadro, tuttora esistente, della Madonna del Rosario e i Santi Domenico e Caterina da Siena, nonché i quindici Misteri, disposti come cornice. L'altare era mantenuto dalla Compagnia e Confraternita del Rosario, che aveva un proprio procuratore. In capo alla navatella di sinistra era la cappella di S. Maria delle Grazie, che a sua volta era dotata di un'«icona grande», oramai sparita, con al centro la statua della Madonna sotto il titolo ora espresso. La Compagnia detta del Sacco, teneva la cappella ben provvista di tutto, perfino con sacrestia apposita. Altro altare era dedicato a S. Carlo, con quadro del Santo: vi era pure la statua di S. Antonio da Padova, protettore a sua volta della Rocca, con festa il 13 giugno. Sempre dal lato di sinistra esisteva una cappella grande del Corpo di Cristo con altare «volgarmente detto l'altare di S. Antonino» (f. 129 v) Anche qui si vedeva un'icona con al centro la statua del Salvatore, mentre ai lati erano dipinti S. Antonino Martire e altri Santi «tutti sopra tavola nell'Icona predetta», anch'essa sparita totalmente. L'altare veniva mantenuto dal procuratore della chiesa e del Capitolo, come l'altare maggiore. Si riteneva fondato dall'Università, e il 2 settembre vi si celebrava, come si è già accennato, la festa di S. Antonino con rito di prima classe, «come titolare della chiesa e primo Patrono di detta Rocca con le prime e seconde Vespere» (£. 129 r). L'organo era del 1693, con riadattamento delle canne pre-esistenti, il coro poi era situato sopra la porta d'ingresso della chiesa, di fronte all'altare maggiore. Non vi erano stalli veri e propri, ma solo scranni, o sedili lunghi. «In detto coro si recita l'offitio divino ogni mattina, et anticamente fu per introduzione di consuetudine e divotione, et al presente è per obbligo» (f. 130 v), ma vigeva l'uso che, almeno nelle ferie, mancando la Messa cantata, ufficiava solo una metà dei capitolari, e l'altra metà interveniva nella settimana successiva, con facoltà per i singoli di farsi sostituire una volta nel corso della settimana. Esisteva il campanile alto palmi 76 (20 metri), e con lati di palmi 12 (m. 3,15). E' quello tuttora esistente, che nel dopoguerra ha avuto un modico rialzo di quattro metri o poco più, per conferirgli maggiore risalto. Si nota pure, con riferimento a tutto il complesso, che «la riparazione di detta chiesa possiede l'aiuto totale dell'Università di detta Rocca d'Evandro sua fondatrice» (f. 131), mentre per la manutenzione ordinaria (candele, incenso e altro) provvedeva il procuratore della chiesa con gli introiti di diversi beni che vengono elencati. Sull'organizzazione del Capitolo e clero locale si riferirà a parte; basterà accennare che pure qui, come in varie altre località della Diocesi, la chiesa era recettizia, per i soli sacerdoti nativi del luogo, a parte l'arciprete che veniva nominato dall'Abate in seguito a regolare concorso, e più oltre si offrirà qualche esempio della procedura seguita. Altra chiesa locale, oggi ridotta in rovina, era quella di S. Antonio Abate con annesso ospedale, nel senso di ospizio per i pellegrini e forestieri. La chiesa aveva avuto un restauro, ed era stata benedetta il 20 maggio 1687. Misurava in lunghezza palmi 23 (m. 6,10), in larghezza palmi 13 (m. 3,45), in altezza palmi 22 (m. 5). Aveva un altare con quadro su tela rappresentante S. Antonio Abate, S. Benedetto e la Madonna del Carmine. L'ospedale od ospizio che aveva dovuto cedere un ambiente a favore dell'ingrandimento della chiesa, consisteva in due stanze, con due letti forniti del necessario, mentre in un cortile adiacente stavano costruendo altre due stanze. Per la chiesa di S. Margherita, totalmente scomparsa, è detto che era antichissima. Si trovava presso la porta omonima e aveva l'ingresso a occidente con l'altare a oriente, ma nel recente restauro era stata ricostruita con opposto orientamento. Risultava coperta a tetto, era larga palmi 24 (m. 6,35), lunga palmi 45 (m. 11,90), mentre l'altezza risultava di pal­mi 24 (m. 6,35). Sull'altare si notava un quadro su tela con la Madonna del Carmine, S. Margherita V. M. «Protettrice della Rocca» (f. 152 r), oltre S. Caterina da Siena, S. Elena e S. Rosa. Vi era pure una statua antica della Madonna. Nel rifacimento dell'altare era stata rinvenuta una caraffina col sangue di S. Margherita V. M. che veniva conservata, come si è già accennato, con le reliquie della chiesa principale. Si nota che l'Abate di M. Cassino non voleva concedere il permesso per la benedizione della chiesa, essendo questa priva di beni per il mantenimento, ma dietro supplica dell'Università, oggi si direbbe il Comune, che s'impegnata alla manutenzione, il permesso in parola venne concesso, e la chiesa fu benedetta nel 1682, presente il Capitolo e il popolo (f.f. 152 r). La festa di S. Margherita era la principale e ricorreva il 20 luglio. V'interveniva il Capitolo «e ciò per obbligo d'antica osservanza». Altra festa solenne era quella del Carmine (16 luglio), «e ciò per volontaria devozione». Infine la festa di S. Rocco (16 ag.), «e ciò per obbligo fatto dalli Sindaci di solennizzarlo con l'intervento del Capitolo, che v'interviene gratis, col consenso dell'Abate Ordinario del 28 luglio 1691» (f. 152 r). Questa decisione sul culto di S. Rocco di data piuttosto recente, in quanto di poco anteriore all'inventario, fu presa in seguito a una pestilenza, nella quale fu avvertita l'efficacia del patrocinio del Santo in tali evenienze, un tempo abbastanza frequenti. Si coglie qui un primo segno del culto a S. Rocco come patrono, mantenutosi vivo fino ai nostri giorni. L'ultima chiesa locale, ma abbastanza fuori dell'abitato (mezzo miglio dalle mura), è quella di S. Maria delle Grazie della Farneta, tuttora esistente in discrete condizioni. Lunga palmi 40 (m. 10,55), larga palmi 20 (m. 5,30), alta palmi 18 (m. 4,75), con ingresso a mezzogiorno e altare a settentrione, era coperta a tetto con soffitto di tavole sopra l'altare. Dietro quest'ultimo una pittura su muro, ancora visibile sebbene assai deteriorata, mostrava la Madonna in trono con due angeli ai lati, in atto di coronarla. La chiesa risultava ingrandita di recente a cura dei fedeli del luogo, ed essendo priva di rendite e compresa nell'area dei beni della chiesa principale, il Capitolo si; era impegnato a tenerla in commenda. L'edificio restaurato venne benedetto il 19 marzo 1688, in seguito a decreto del Vic. Gener. Cassinese. L'Abate d. Andrea da Napoli, nella visita del 1689 «confermò l'aggregazione al Capitolo, anche dietro petizione dell'Università della Rocca» (f. 153 v). La festa ricorreva la quarta domenica di aprile, con concorso del popolo, e a devozione dei fedeli era mantenuto l'eremita che, previa autorizzazione della Curia Cassinese, aveva in custodia l'edificio, nel quale pure abitava. «A questa chiesa — nota sempre l'inventario — si dirigono le processioni per bisogni universali» (f. 135 v). Di altre chiese non viene fatta menzione, perché oramai in rovina, o prive di una vera manutenzione, specialmente quella esterna di S. Tommaso che serviva da cimitero, come si vedrà nelle notizie di epoca successiva.  A parte lo stato delle chiese alla fine del Seicento, si può fare menzione della decisione capitolare del 1692 per l'assunzione di un maestro di canto gregoriano, nella persona del chierico Tommaso Pagliuca, per il quale non si dice dove e come l'avesse appreso, ma doveva provvedervi con lezioni quotidiane nel coro della chiesa eccettuate le feste di precetto. Il suddetto chierico riceveva mensilmente per tale compenso 25 carlini, corrispondenti come minimo a venticinquemila lire, ma anche raddoppiando questa cifra, con riferimento all'attuale valore della moneta, si deve ammettere che la retribuzione era piuttosto scarsa, dato l'impegno quotidiano richiesto. In questo tempo vi fu pure un intervento abbastanza energico del Vicario Generale, d. Erasmo Gattola, a proposito di elemosine da elargirsi per dote a ragazze povere. Di tali aiuti in vista del matrimonio, si occupava il procuratore dell'ospedale di S. Antonio. Nel 1690, in seguito a una supplica, il Vic. Gener. del tempo d. Girolamo, chiedeva al Vicario Foraneo, che risiedeva sul posto, d'informarsi «de honestate, paupertate supplicantis». Il Vic. Gener. autorizzava quindi l'elemosina «prò dote», ma la cosa andò in lungo, perché nel 1694 il nuovo Vicario d. Erasmo, dovè intimare al procuratore di S. Antonio, sotto precetto d'obbedienza, di dare entro tre giorni la dote, «essendo così la nostra volontà». Solo nel 1696, notare la data, il marito, dopo più anni di matrimonio, dichiarava di aver avuto dal procuratore, in conformità dell'ordine suddetto, sei ducati per la dote del coniuge. Da altra richiesta dell'anno 1695, sappiamo che l'ospedale di S. Antonio dava annualmente sei ducati, la cappella del Rosario altri sei, quella di S. Maria delle Grazie soltanto due, quindi sedici ducati in tutto, per i quali potevano esserci più richieste. Anche qui il Vicario d. Erasmo dichiarava che doveva esser concesso il sussidio, in sé abbastanza modesto. Per quanto concerne le relazioni col feudatario può essere riferito che nella visita del 1635, l'Abate fu ricevuto dal clero e dal popolo, presente pure l'«ill.mus Castri Baro Antonius Sanmarco». Le relazioni col signore del luogo s'intensificheranno nel secolo seguente, con l'avvento alla Rocca dei marchesi Cedronio, originari di S. Germano (Cassino).

 

A. Pantoni, Roccadevandro, III, «Bollettino Diocesano» di Montecassino, Anno XXXIV, 5/1979, pp 56-63.

 

 

 

 

 

 

 

 

   


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