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Rocca d'Evandro
III - Il Seicento
Proprio ai primi anni di questo secolo, nel 1617, troviamo
una petizione dei Sindaci della Rocca all' Abate Cassinese, nella quale a
causa di «molte miserie et calamità, et povertà per la sterilità (e)
infertilità dei terreni», temendo di essere incorsi in qualche scomunica,
pregavano di ottenere «da S. Santità un breve di assoluzione benedizione e
indulgenza plenaria». Il Priore di M. Cassino, d. Bernardino da Trani,
rispose che l'arciprete esortasse tutti a confessarsi e comunicarsi, e a
tenersi preparati per la terza festa di Pasqua (si suppone il martedì
dell'ottava), quando sarebbe venuto il Vicario per la «benedizione
universale». La richiesta sopra riferita, a parte le possibili cause della
lamentata sterilità, mostra lo spirito di fede degli abitanti, che viene
del resto lodato anche in sede di visita canonica. Degno pure di nota il
fatto che nella visita del 1622, viene detto esplicitamente che la chiesa
principale di S. Maria Maggiore era pure dedicata a S. Antonino Martire.
Su questo Santo si è avuto occasione di trattare a proposito di Viticuso,
e quindi per maggiori notizie si rimanda, al relativo articolo. La dedica
a S. Antonino risulta espressa chiaramente nella visita del 1673, nei
decreti «prò eadem Ecclesia Matrici sub titulo S. Mariae Maioris et S.
Antonini». Inoltre dall'inventario generale, fatto a fine secolo, del
quale si tratterà qui appresso, veniamo a sapere che la festa di S.
Antonino, quale primo patrono della Rocca, era celebrata con particolare
solennità, e che in detto giorno, nella piazza della chiesa, venivano
eletti i Sindaci e gli altri ufficiali dell'Università, «e ciò per antica
costumanza e tradizione». L'inventario delle chiese, beneficii e luoghi
pii dell'anno 1696, chiesto da d. Erasmo Gattola, Vicario Generale della
Diocesi, con decreto del 29 novembre 1695, che si rifaceva a quanto già
aveva prescritto Sisto V nel 1587, fu veramente provvidenziale per
tramandarci un quadro sufficientemente completo della situazione nelle
varie località diocesane. Per quanto concerne Rocca d’Evandro l'inventario
ebbe inizio il 13 giugno 1696, presente l'arciprete d. Antonio Camposelli,
il procuratore del Capitolo, i sacerdoti prebendati (erano diciotto), i
tre Sindaci e il dottor fisico, cioè il medico del luogo, oltre il notaio
per la redazione in forma legale e autentica, di quanto sarebbe emerso
dalle varie esposizioni, ed elenchi, consegnati nella già citata serie
degli «Inventaria Ecclesiarum». La chiesa di S. Maria Maggiore e S.
Antonino Martire, viene precisato essere situata in mezzo al paese «nel
luogo detto la piazza, circondata e confinata dalla piazza e strade
pubbliche». Le origini risultavano imprecisate, in ogni caso da supporsi
assai antiche, e il suo mantenimento e riparazioni spettavano
all'Università, o Comune nei termini odierni. L'edificio descritto non è
l'attuale, costruito intorno alla metà del Settecento, e dalle misure
offerte si deduce che era piuttosto piccolo. Misurava infatti in lunghezza
palmi napoletani 92 (m. 24,30), in larghezza palmi 44 (m. 11,50, in
altezza palmi 41 (m. 10,80), un palmo essendo m. 0,264. La copertura era a
soffitto, definito come ben fatto, e i tetti avevano avuto riparazioni di
recente a cura dell'Università, si può aggiungere in seguito a pressanti
decreti di visite diocesane, come risulta dai relativi registri. La chiesa
aveva un atrio con finestre, nel quale era l'unica porta
«fatta commodamente grande et alta di pietra lavorata viva, ben fatta in
pochi pezzi» (f. 128 r), ed è ancora la porta attuale di corrette linee
tardocinquecentesche, compresa la porta lignea, pure menzionata
nell'inventario, con scolpiti a rilievo gli stemmi del luogo e della
Badia. Malgrado le non grandi dimensioni l'edificio era a tre navate, ciò
porta la conseguenza che la navata principale doveva essere ampia poco più
di cinque metri. In essa campeggiava sul fondo l'altare maggiore «con
l'Icona grande, con pittura magnifica e stimata, opera di Zincare pittore
illustre» (f. 128 r). Lo Zingaro, un pittore veneto il cui nome è Antonio
Solario, e del quale si hanno notizie tra il 1495 e il 1511, è noto
particolarmente per le pitture con episodi della vita di S. Benedetto,
eseguite nel 1503 a Napoli, nel chiostro del monastero benedettino
cassinese dei SS. Severino e Sossio, pitture ancora visibili, sebbene in
stato di progressivo degradamento. Lo Zingaro, come ricorda il cronista
cassinese Placido Petrucci, nella sua descrizione di Montecassino del
1580, aveva pure fatto alcune pitture, a carattere storico, nella porta
superiore di M. Cassino, dov'è tuttora la cappella della Madonna, e la
data di questo lavoro è fissata a quella del governo dell'abate Vincenzo
de Riso (1516-17) che lo promosse. Dette pitture erano ancora visibili
verso la fine del Seicento, e purtroppo non ne rimane traccia. Ma questa
presenza del pittore a Montecassino, può spiegare anche il lavoro eseguito
a Rocca d’Evandro, a sua volta totalmente perduto. Riprendendo la
descrizione dell'inventario, si può aggiungere che nella grande ancona,
dell'altare maggiore, in alto era raffigurata l'Assunzione di Maria, e
nella zona centrale la Madonna seduta col Bambino e vari Santi, tra i
quali S. Benedetto, S. Antonino Martire, i SS. Filippo e Giacomo, in
quanto nel giorno ad essi dedicato a quel tempo, il 1° maggio, la chiesa
era stata dedicata, nonché altri santi personaggi. Da notarsi ancora, come
sopravvivenza dell'originario assetto medioevale, che sopra la balaustrata
dell'altare maggiore ,si notava un architrave ligneo, «e sopra di esso vi
era il Crocefisso grande», mentre nell'architrave, estremo ricordo della
«pergula», si leggeva: «si dolor est attendile». A destra dell'altare, in
una nicchia, si conservavano diverse reliquie, compresa una della S.
Croce, oltre una caraffina col sangue di S. Margherita Vergine e Martire,
anch'essa protettrice del luogo. Dal lato di destra, in capo alla
navatella, si trovava l'altare del Rosario, con un quadro, tuttora
esistente, della Madonna del Rosario e i Santi Domenico e Caterina da
Siena, nonché i quindici Misteri, disposti come cornice. L'altare era
mantenuto dalla Compagnia e Confraternita del Rosario, che aveva un
proprio procuratore. In capo alla navatella di sinistra era la cappella di
S. Maria delle Grazie, che a sua volta era dotata di un'«icona grande»,
oramai sparita, con al centro la statua della Madonna sotto il titolo ora
espresso. La Compagnia detta del Sacco, teneva la cappella ben provvista
di tutto, perfino con sacrestia apposita. Altro altare era dedicato a S.
Carlo, con quadro del Santo: vi era pure la statua di S. Antonio da
Padova, protettore a sua volta della Rocca, con festa il 13 giugno. Sempre
dal lato di sinistra esisteva una cappella grande del Corpo di Cristo con
altare «volgarmente detto l'altare di S. Antonino» (f. 129 v) Anche qui si
vedeva un'icona con al centro la statua del Salvatore, mentre ai lati
erano dipinti S. Antonino Martire e altri Santi «tutti sopra tavola
nell'Icona predetta», anch'essa sparita totalmente. L'altare veniva
mantenuto dal procuratore della chiesa e del Capitolo, come l'altare
maggiore. Si riteneva fondato dall'Università, e il 2 settembre vi si
celebrava, come si è già accennato, la festa di S. Antonino con rito di
prima classe, «come titolare della chiesa e primo Patrono di detta Rocca
con le prime e seconde Vespere» (£. 129 r). L'organo era del 1693, con
riadattamento delle canne pre-esistenti, il coro poi era situato sopra la
porta d'ingresso della chiesa, di fronte all'altare maggiore. Non vi erano
stalli veri e propri, ma solo scranni, o sedili lunghi. «In detto coro si
recita l'offitio divino ogni mattina, et anticamente fu per introduzione
di consuetudine e divotione, et al presente è per obbligo» (f. 130 v), ma
vigeva l'uso che, almeno nelle ferie, mancando la Messa cantata, ufficiava
solo una metà dei capitolari, e l'altra metà interveniva nella settimana
successiva, con facoltà per i singoli di farsi sostituire una volta nel
corso della settimana. Esisteva il campanile alto palmi 76 (20 metri), e
con lati di palmi 12 (m. 3,15). E' quello tuttora esistente, che nel
dopoguerra ha avuto un modico rialzo di quattro metri o poco più, per
conferirgli maggiore risalto. Si nota pure, con riferimento a tutto il
complesso, che «la riparazione di detta chiesa possiede l'aiuto totale
dell'Università di detta Rocca d'Evandro sua fondatrice» (f. 131), mentre
per la manutenzione ordinaria (candele, incenso e altro) provvedeva il
procuratore della chiesa con gli introiti di diversi beni che vengono
elencati. Sull'organizzazione del Capitolo e clero locale si riferirà a
parte; basterà accennare che pure qui, come in varie altre località della
Diocesi, la chiesa era recettizia, per i soli sacerdoti nativi del luogo,
a parte l'arciprete che veniva nominato dall'Abate in seguito a regolare
concorso, e più oltre si offrirà qualche esempio della procedura seguita.
Altra chiesa locale, oggi ridotta in rovina, era quella di S. Antonio
Abate con annesso ospedale, nel senso di ospizio per i pellegrini e
forestieri. La chiesa aveva avuto un restauro, ed era stata benedetta il
20 maggio 1687. Misurava in lunghezza palmi 23 (m. 6,10), in larghezza
palmi 13 (m. 3,45), in altezza palmi 22 (m. 5). Aveva un altare con
quadro su tela rappresentante S. Antonio Abate, S. Benedetto e la Madonna
del Carmine. L'ospedale od ospizio che aveva dovuto cedere un ambiente a
favore dell'ingrandimento della chiesa, consisteva in due stanze, con due
letti forniti del necessario, mentre in un cortile adiacente stavano
costruendo altre due stanze. Per la chiesa di S. Margherita, totalmente
scomparsa, è detto che era antichissima. Si trovava presso la porta
omonima e aveva l'ingresso a occidente con l'altare a oriente, ma nel
recente restauro era stata ricostruita con opposto orientamento. Risultava
coperta a tetto, era larga palmi 24 (m. 6,35), lunga palmi 45 (m. 11,90),
mentre l'altezza risultava di palmi 24 (m. 6,35). Sull'altare si notava
un quadro su tela con la Madonna del Carmine, S. Margherita V. M.
«Protettrice della Rocca» (f. 152 r), oltre S. Caterina da Siena, S. Elena
e S. Rosa. Vi era pure una statua antica della Madonna. Nel rifacimento
dell'altare era stata rinvenuta una caraffina col sangue di S. Margherita
V. M. che veniva conservata, come si è già accennato, con le reliquie
della chiesa principale. Si nota che l'Abate di M. Cassino non voleva
concedere il permesso per la benedizione della chiesa, essendo questa
priva di beni per il mantenimento, ma dietro supplica dell'Università,
oggi si direbbe il Comune, che s'impegnata alla manutenzione, il permesso
in parola venne concesso, e la chiesa fu benedetta nel 1682, presente il
Capitolo e il popolo (f.f. 152 r). La festa di S. Margherita era la
principale e ricorreva il 20 luglio. V'interveniva il Capitolo «e ciò per
obbligo d'antica osservanza». Altra festa solenne era quella del Carmine
(16 luglio), «e ciò per volontaria devozione». Infine la festa di S. Rocco
(16 ag.), «e ciò per obbligo fatto dalli Sindaci di solennizzarlo con
l'intervento del Capitolo, che v'interviene gratis, col consenso
dell'Abate Ordinario del 28 luglio 1691» (f. 152 r). Questa decisione sul
culto di S. Rocco di data piuttosto recente, in quanto di poco anteriore
all'inventario, fu presa in seguito a una pestilenza, nella quale fu
avvertita l'efficacia del patrocinio del Santo in tali evenienze, un tempo
abbastanza frequenti. Si coglie qui un primo segno del culto a S. Rocco
come patrono, mantenutosi vivo fino ai nostri giorni. L'ultima chiesa
locale, ma abbastanza fuori dell'abitato (mezzo miglio dalle mura), è
quella di S. Maria delle Grazie della Farneta, tuttora esistente in
discrete condizioni. Lunga palmi 40 (m. 10,55), larga palmi 20 (m. 5,30),
alta palmi 18 (m. 4,75), con ingresso a mezzogiorno e altare a
settentrione, era coperta a tetto con soffitto di tavole sopra l'altare.
Dietro quest'ultimo una pittura su muro, ancora visibile sebbene assai
deteriorata, mostrava la Madonna in trono con due angeli ai lati, in atto
di coronarla. La chiesa risultava ingrandita di recente a cura dei fedeli
del luogo, ed essendo priva di rendite e compresa nell'area dei beni della
chiesa principale, il Capitolo si; era impegnato a tenerla in commenda.
L'edificio restaurato venne benedetto il 19 marzo 1688, in seguito a
decreto del Vic. Gener. Cassinese. L'Abate d. Andrea da Napoli, nella
visita del 1689 «confermò l'aggregazione al Capitolo, anche dietro
petizione dell'Università della Rocca» (f. 153 v). La festa ricorreva la
quarta domenica di aprile, con concorso del popolo, e a devozione dei
fedeli era mantenuto l'eremita che, previa autorizzazione della Curia
Cassinese, aveva in custodia l'edificio, nel quale pure abitava. «A questa
chiesa — nota sempre l'inventario — si dirigono le processioni per bisogni
universali» (f. 135 v). Di altre chiese non viene fatta menzione, perché
oramai in rovina, o prive di una vera manutenzione, specialmente quella
esterna di S. Tommaso che serviva da cimitero, come si vedrà nelle notizie
di epoca successiva. A parte lo stato delle chiese alla fine del
Seicento, si può fare menzione della decisione capitolare del 1692 per
l'assunzione di un maestro di canto gregoriano, nella persona del chierico
Tommaso Pagliuca, per il quale non si dice dove e come l'avesse appreso,
ma doveva provvedervi con lezioni quotidiane nel coro della chiesa
eccettuate le feste di precetto. Il suddetto chierico riceveva mensilmente
per tale compenso 25 carlini, corrispondenti come minimo a venticinquemila
lire, ma anche raddoppiando questa cifra, con riferimento all'attuale
valore della moneta, si deve ammettere che la retribuzione era piuttosto
scarsa, dato l'impegno quotidiano richiesto. In questo tempo vi fu pure un
intervento abbastanza energico del Vicario Generale, d. Erasmo Gattola, a
proposito di elemosine da elargirsi per dote a ragazze povere. Di tali
aiuti in vista del matrimonio, si occupava il procuratore dell'ospedale di
S. Antonio. Nel 1690, in seguito a una supplica, il Vic. Gener. del tempo
d. Girolamo, chiedeva al Vicario Foraneo, che risiedeva sul posto,
d'informarsi «de honestate, paupertate supplicantis». Il Vic. Gener.
autorizzava quindi l'elemosina «prò dote», ma la cosa andò in lungo,
perché nel 1694 il nuovo Vicario d. Erasmo, dovè intimare al procuratore
di S. Antonio, sotto precetto d'obbedienza, di dare entro tre giorni la
dote, «essendo così la nostra volontà». Solo nel 1696, notare la data, il
marito, dopo più anni di matrimonio, dichiarava di aver avuto dal
procuratore, in conformità dell'ordine suddetto, sei ducati per la dote
del coniuge. Da altra richiesta dell'anno 1695, sappiamo che l'ospedale di
S. Antonio dava annualmente sei ducati, la cappella del Rosario altri sei,
quella di S. Maria delle Grazie soltanto due, quindi sedici ducati in
tutto, per i quali potevano esserci più richieste. Anche qui il Vicario d.
Erasmo dichiarava che doveva esser concesso il sussidio, in sé abbastanza
modesto. Per quanto concerne le relazioni col feudatario può essere
riferito che nella visita del 1635, l'Abate fu ricevuto dal clero e dal
popolo, presente pure l'«ill.mus Castri Baro Antonius Sanmarco». Le
relazioni col signore del luogo s'intensificheranno nel secolo seguente,
con l'avvento alla Rocca dei marchesi Cedronio, originari di S. Germano
(Cassino).
A. Pantoni,
Roccadevandro, III, «Bollettino Diocesano» di Montecassino,
Anno XXXIV, 5/1979, pp 56-63.
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