Testimonianze
11 SETTEMBRE
1943
Articolo tratto
dal mensile "PIAZZA
VERDI"
di Finale Emilia (MO) -
Ottobre 2006
(Gentilmente
concesso dal Sig. Fabbri, direttore di "Piazza Verdi")
Erano tutti della classe 1906,
compirebbero oggi cent'anni. Ben difficilmente avremmo potuto ora ascoltare le
loro voci, per apprendere quanto accaduto quel tragico 11 settembre 1943 alla
stazione di Rocca d'Evandro (Caserta), che per uno strano gioco geografico si
trova in un'altra regione, nel territorio del Comune di San Vittore del Lazio,
in provincia di Frosinone. Ma è rimasto un sottile segnalibro - rappresentato da
un semplice ma appassionato diario
- che invita a riaprire una dolorosa pagina di storia che non merita l'oblio.
Quattordici paginette, nelle quali Egidio Baccilieri - per diverso tempo usciere
comunale a Finale, venuto a mancare otto anni fa - racconta in modo elementare
ma altamente efficace la drammatica odissea che ha coinvolto lui ed altri
giovani finalesi durante il Secondo Conflitto Mondiale.
Mi ci sono appassionato, e da quelle poche righe
ho iniziato la mia ricerca attraverso visite ad Archivio di Stato e
Distretto Militare, contatti col sindaco di San Vittore, ed interpellando un
buon numero di persone, che qui voglio ringraziare per l'ampia disponibilità
ricevuta. Dalle carte che ho rintracciato e dalle narrazioni di parenti e
concittadini mi è stato così possibile ricostruire le modeste vicende di
povera gente, che è venuta a trovarsi nel posto sbagliato nel momento
sbagliato, rimettendoci tragicamente la vita.
Tutto accadde dall'agosto al settembre 1943.
Alla deposizione di Mussolini nel luglio precedente - sostituito dal
generale Badoglio - dichiarando di voler proseguire la guerra a fianco della
Germania, il governo si affidò a nuove forze, richiamando "riservisti" che
in un primo tempo non aveva impiegato. In questo ambito oltre 1300 giovani
della classe 1906 residenti in provincia furono radunati presso la caserma
XX Settembre di Modena, e inviati a mezzo di un convoglio di carri-bestiame
in zona di operazioni di guerra. Giunti il 16 agosto a Mignano Monte Lungo
(Caserta) e accorpati nella 704a e 705a Compagnia Lavoratori, ebbero
incarico di scavare fosse antiaeree, trincee, camminamenti e postazioni per
cannoni e mitragliatrici. Da lì, lungo la catena appenninica sino a Vasto (Chieti),
si stava formando la gigantesca linea Gustav per contrastare
l'avanzata alleata. Non erano nemmeno stati dotati delle divise, dovevano
solamente lavorare e scavare da mattino a sera.
L'annuncio della firma dell'armistizio con gli
angloamericani, reso noto l'otto settembre, e la conseguente ignominiosa
fuga a Pescara e poi a Brindisi di Vittorio Emanuele con la famiglia reale,
compresi Badoglio e i suoi generali, lasciò l'esercito senza ordini né
viveri in balia delle truppe naziste. Alle manifestazioni di giubilo dei
soldati ed al conseguente naturale smarrimento, fece seguito la decisione di
lasciare quei luoghi, cosicché diversi gruppi di loro si incamminarono per
le montagne col favore delle tenebre.
Molti giovani di Finale e dintorni si riunirono,
giungendo la mattina dell'11 settembre alla piccola stazione di Rocca
d'Evandro, ad una decina di chilometri da Cassino, con l'intento di salire
sul primo convoglio verso nord. Seduti in cerchio sulle loro povere valigie
si sistemarono nei pressi di una vigna, conversando di buon umore e
pregustando il prossimo ritorno a casa. Ma di lì a poco la vicenda avrebbe
preso i contorni della tragedia.
Alle ore 13,35 comparve d'improvviso in cielo
una squadriglia di 36 quadrimotori alleati, contro cui iniziò a crepitare la
contraerea tedesca appostata nei paraggi, lungo la ferrovia. In un baleno ne
seguì una micidiale pioggia di bombe di grosso calibro, che interessò la
intera zona circostante la stazione. Una carneficina!
In un teatro spettrale rimasero a terra -
orribilmente straziati - i corpi di nove civili, che stavano lavorando nei
pressi, e di 44 soldati. Dieci di questi erano finalesi: Felice Bortolini, Antonio Fabbri, Alessandro Gozzi,
Ennio Lenzi, Oliviero Masi, Claudio Neri, Arrigo Neri, Nildo Pareschi,
Emilio Sola e Ivo Zucchini.
Tutti i cadaveri, su disposizione dei militari
tedeschi - rimasti incolumi - vennero sommariamente sepolti nel fondo di un
grosso cratere scavato da una bomba. Soltanto tre anni dopo furono raccolti
in una unica bara i miseri resti dei nostri caduti, poi tumulati nel
cimitero finalese il 4 giugno 1947 nella 1ª
galleria sotterranea. Solo la salma di Alessandro Gozzi "Sandrin dal Mot",
di Massa Finalese, non è stata trovata o identificata, negando così ai
familiari la possibilità di avere una tomba su cui posare un fiore.
Nel breve diario di Egidio Baccilieri - scampato
in quello scenario di morte con gravi ferite - si apprende della sua
successiva odissea presso diversi ospedali, prima del ritorno a casa. E qui
è scattata un'incredibile sorpresa. Parlando al telefono col signor Vittorio
Maraone di San Vittore - che all'epoca aveva 14 anni e rimase anch'egli
ferito nel bombardamento - ho appreso che è stato vicino di letto del nostro
Baccilieri, presso l'ospedale civile di
Pontecorvo, in cui erano stati ricoverati una decina di soldati superstiti
del drappello emiliano.
Altri nostri concittadini sono sfuggiti alla
morte in quell'ecatombe: i massesi Enrico Poletti - che coltivava un fondo nei pressi
della chiesetta di via S. Maria - e Lodovico Lodi "Fidèl", che nel
dopoguerra prestò opera presso la Samis-Bellentani.
A Finale rientrò anche Enrico Tassi "Neri
Tarziòt", manifestamente scosso dalla tragica esperienza vissuta, che in
seguito passò alle dipendenze dell'azienda agricola Mattioli. Particolare
doloroso: Enrico ebbe il pensiero di portare a casa con sé alcune piastrine
e documenti personali dei commilitoni dilaniati dalle bombe, raccolti come
gli consentiva quell'inferno, e per un
certo periodo la sua abitazione divenne meta di familiari - quasi tutti
erano coniugati e con prole - che angosciati volevano avere qualche notizia
dei loro cari. Ci sarebbero tanti altri particolari ed interessanti
riferimenti da aggiungere, che mi sono proposto di esporre in una successiva
ricostruzione più ampia, che non sia soggetta agli attuali problemi di
spazio.
Undici settembre: una data che purtroppo evoca
tragedie più recenti e devastanti, e che riporta alla memoria anche quel
tragico giorno di oltre sessant'anni fa. La memoria. Un filo sottilissimo
che rende indissolubile il legame fra il passato - di dolore e di morte - ed
il presente, in cui il ricordo si riaccende per non spegnersi mai.
Celso Malaguti
Il diario di
Egidio Baccilieri
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